perai stranieri regolarmente assunti soltanto in apparenza, costretti a restituire la metà del salario al titolare dell’azienda. Condizioni di lavoro precarie, sia dal punto di vista igienico che della sicurezza. E poi orari impossibili, vessazioni, ricatti e minacce. Ieri, giovedì 17 ottobre, il programma “L’aria che tira” ha mandato in onda su La7 un’inchiesta di Ludovica Ciriello realizzata ad Arezzo e che ha portato alla luce una situazione drammatica all’interno di una parte del settore orafo, quella che opera in conto terzi.
Il più grande distretto dell’oro italiano, si legge nella presentazione del servizio, “sembra un far west del lavoro, senza più diritti né regole. Nelle fabbriche gestite da stranieri le donne per lo più non sono ammesse, però anche loro devono darsi da fare, così lavorano a casa”. In studio, nella trasmissione condotta da David Parenzo, anche la giornalista di origini marocchine Karima Moual: “In tutta Italia ci sono filiere criminali di sfruttamento dei migranti che vanno denunciate”. Una linea di condotta che ha ribadito il presidente della Commissione lavoro della Camera dei deputati, Walter Rizzetto, esponente di Fratelli d’Italia: “Capisco che è difficile ma l’unico modo per portare alla luce del sole certe pratiche criminali è denunciare”.
Della questione, qualche settimana fa, si era occupato anche Il Post con un servizio di Alessandra Pellegrini De Luca che ruotava proprio attorno al caporalato nell’oreficeria aretina, spesso esercitato da titolari stranieri nei confronti di connazionali. Ma a beneficiarne, ripercorrendo tutta la filiera, sarebbero pure aziende aretine e grandi marchi della moda.
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“Sono indignata per le immagini che ho visto e, al contempo, per l’inaccettabile generalizzazione con cui è stato confezionato il servizio de La7 – ha commentato Giordana Giordini, presidente della sezione oreficeria e gioielleria di Confindustria Toscana Sud. Certe situazioni fuorilegge vanno estirpate senza indugio e sarebbe impossibile pensarla diversamente. Dico però che gettare fango su tutto il distretto orafo, che rappresenta il 30% dell’export regionale e che è un pilastro fondamentale dell’economia aretina, è sbagliato e ingiusto. La maggior parte delle 1.200 aziende del settore ha certificazioni di qualità che garantiscono sia la bontà dei prodotti che le condizioni dei lavoratori. Se tra le 200 ditte esterne ce n’è qualcuna che non rispetta la regole, deve essere sanzionata e chiusa. Ma non necessariamente una fabbrica gestita da stranieri si pone al di fuori della legalità. Anzi, per quella che è la mia esperienza personale, il quadro generale è molto meno tragico di come lasciava intuire il servizio. Una pecora nera non può macchiare l’immagine di tutto il gregge, vale anche in questo caso”.